Pubblico una mia intervista sulla sindrome della crocerossina rilasciata alla rivista Vero Salute.
TESTO COMPLETO DELL’INTERVISTA: Che cos’é la sindrome della crocerossina? La Sindrome della Crocerossina definisce una configurazione identitaria e una modalità relazionale tipica di persone, prevalentemente donne, che appaiono molto accudenti e protettive nei confronti del partner o, meno di frequente, di altre persone significative. Il comportamento di chi soffre di tale sindrome è sempre finalizzato a compiacere, gratificare e giustificare l’altro con dedizione e abnegazione assolute, sacrificando i propri bisogni e interessi. Identikit della crocerossina? La crocerossina è, a ruoli invertiti, una sorta di principe azzurro al femminile. Nelle diverse versioni del racconto, generazioni di fanciulle sono state vittime di un aspetto simbolico invariante e terrifico di tale favola: il principe salva la principessa prigioniera e lei, pertanto, non può che sposarlo, non può scegliere di ringraziare e accomiatarsi, è stata salvata e adesso son fatti suoi, che le piaccia o no questo è il principe! Ciò che muove la crocerossina nel suo amore assoluto è dunque, a mio avviso, un modello identitario analogo, incentrato sulla pretesa del “Io ti salvo quindi mi amerai!” Come si manifesta e per quale motivo? Cosa si nasconde dietro? Le manifestazioni comportamentali più frequenti sono quelle prima esposte (dedizione, accudimento, ecc.). Le motivazioni psicologiche sono in genere correlabili con una affettività che può essere vissuta soltanto con una modalità incentrata sulla dipendenza e sul bisogno reciproco. Il desiderio verso l’altro può mettere radici soltanto dove il terreno non è contaminato da un bisogno precedente. Chi ha la sindrome della crocerossina non può quindi desiderare davvero l’altro perché ripropone nella relazione con il partner un copione relazionale inconscio sofferente, in genere riconducibile a dolorose esperienze affettive dell’infanzia, come quando si è cresciuti in contesti familiari nei quali ci si è dovuti confrontare con situazioni difficili (abbandoni, separazioni, malattie, ecc.). Nella vita adulta chi soffre di tale sindrome ripropone inconsapevolmente lo stesso atteggiamento relazionale di allora, mettendo da parte se stessa per dedicarsi completamente all’altro. L’amore è visto esclusivamente come accudimento perché si è prigionieri di esperienze emozionali non risolte e, pertanto, non è possibile per la crocerossina concepire relazioni affettive adulte incentrate sul desiderio e sullo scambio reciproco. Perchè si sente il bisogno di salvare qualcuno per essere amati? Crocerossina: un metodo per curare se stesse o espiare una colpa? Come sostenevo prima, la persona che soffre di tale sindrome ha sperimentato relazioni familiari di mancanza di affetto da parte dei genitori (o di altre figure affettivamente importanti). Essa è pertanto imprigionata in un copione identitario di disistima e di continuo bisogno del consenso da parte degli altri; ciò la porta a ricercare un partner che si relazioni con lei in maniera analoga ad una persona importante (e in genere problematica) della famiglia d’origine. La motivazione inconscia che sottende il comportamento relazionale della crocerossina riguarda dunque la riproposizione dell’unico modello affettivo che riesce a sperimentare nella relazione: il salvare dalla dannazione qualcuno (in genere l’uomo che lei crede di desiderare). La accompagna una sorta di sentimento di onnipotenza: l’idea di essere talmente speciale da riuscire dove nessuna è riuscita prima, rendendo un uomo felice e riconoscente. Le storie precedenti di questo partner, tutte contraddistinte dallo stesso copione, non la mettono in allerta. Le “prove” del meccanismo che questo tipo di partner mette in atto sono bypassate dalla illusione della favola. La crocerossina trascura se stessa perché tutte le sue energie sono impegnate nel prendersi cura dell’altro. Il partner da trarre in salvo diviene quindi un mezzo per colmare il vuoto affettivo ed esistenziale che queste donne si portano dentro, anche a costo di annullare se stesse e i propri bisogni attuali. Il prendersi cura dell’altro assume dunque un significato manipolativo tipico delle situazioni relazionali basate sulla dipendenza affettiva. Le amorevoli attenzioni celano invero l’intento, seppure inconsapevole, di legare a doppio filo l’altro a sé. In altri termini, l’implicito che sottende questo tipo di relazione è l’idea che “Se io mi prendo cura di te mi rendo per te indispensabile, quindi mi amerai e non mi lascerai mai”, come nella favola del principe azzurro. Ovviamente non va mai così e il soccorso, una volta risolti i propri problemi, si stanca presto delle modalità asfissianti della soccorritrice e rivendica la propria indipendenza, alimentando nuovamente nella crocerossina il circolo vizioso dell’insicurezza causata dalla paura dell’abbandono e del rifiuto. Se non individuato e curato è un meccanismo che può durare per tutta la vita. Identikit dell’uomo oggetto di interesse delle crocerossine? E’ di norma un uomo sfuggente, che non vuole o non riesce a costruire legami, e che ripropone perfettamente quelle figure del passato che la crocerossina non è riuscita a trattenere a sé. La crocerossina lo percepisce subito come partner misterioso, inafferrabile, problematico; insomma, il “bello e dannato” che solo lei potrà salvare. Gli uomini che stanno bene con se stessi e capaci di instaurare rapporti affettivi adulti comprendono immediatamente che la crocerossina è una partner immatura e problematica e se la danno subito a gambe. La sindrome della crocerossina si sta diffondendo anche nell’universo maschile? Quali caratteristiche ha il crocerossino? La sindrome della crocerossina è stata sino ad oggi un problema prevalentemente al femminile perché vi sono secoli di cultura maschilista che “convincono” le donne soccorritrici di doversi guadagnare l’amore del partner attraverso azioni di accudimento a senso unico. Il retaggio culturale del quale ci andiamo liberando (spesso non senza fatica) ha infatti sempre enfatizzato una identità maschile basata sulla produttività nel lavoro, mentre il ruolo femminile si identificava in tutte quelle attività legate al prendersi cura dell’altro. Il processo di trasformazione sociale, culturale, familiare, lavorativo, rende sempre meno rigida la differenza tra ruolo maschile e ruolo femminile, le persone sono meno prigioniere di comportamenti attesi netti; è pertanto possibile ipotizzare che in futuro la sindrome sarà molto più distribuita tra i due sessi. Il crocerossino è, in definitiva, un maschio con una storia affettiva problematica non più nascosta dietro una rigida identità di ruolo. Come fare per uscirne? Un percorso di psicoterapia è la modalità più appropriata per affrontare la sindrome della crocerossina, non soltanto per prendersi cura dei problemi e delle sofferenze più evidenti che familiari e amici segnalano senza successo alcuno alla crocerossina, ma per aiutare la stessa ad imparare a occuparsi di sé, dei propri nodi emozionali e della propria storia personale. Il prendersi cura di tali aspetti è per la crocerossina il passaggio imprescindibile se vuole imparare a sperimentare un benessere autentico nelle situazioni affettive e relazionali della propria vita.